La “dolce metà” assente al rogito

perde la metà del bonus prima casa

Il possesso delle condizioni soggettive si dichiara personalmente, a pena di decadenza, nella compravendita o, successivamente, con un atto aggiuntivo avente stessa forma
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È legittima la revoca, per la metà, dell’agevolazione fiscale “prima casa” se, al momento del rogito, era presente solo uno dei due coniugi che ha acquistato il bene in comunione legale. Le dichiarazioni prescritte dalla norma agevolativa devono essere rese al notaio da entrambi i coniugi acquirenti e l’eventuale dichiarazione integrativa deve essere redatta “con le stesse formalità giuridiche del precedente [atto] ed entro i termini di decadenza”.
È quanto ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 1988 del 4 febbraio 2015.

Vicenda processuale e motivi della decisione
L’Amministrazione finanziaria aveva notificato un avviso di liquidazione con il quale era stata revocata, per la metà, l’agevolazione fiscale per l’acquisto della prima casa. Detta agevolazione era stata così riconosciuta nei confronti del solo coniuge, che aveva acquistato l’immobile in regime di comunione legale, presente al momento del rogito.

Il ricorso proposto dal notaio rogante veniva rigettato, sia in primo sia in secondo grado.
In particolare, i giudici d’appello ritenevano che le dichiarazioni, prescritte alle lettere b) e c) della norma agevolativa, dovevano esser rese da entrambi i coniugi in seno all’atto e che eventuali omissioni potevano esser integrate con un altro atto redatto con le stesse formalità di quello precedente, entro il termine di decadenza.

Il notaio, pertanto, ricorreva per la cassazione della sentenza, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1, comma 4, e nota II-bis, della tariffa allegata al Dpr 131/1986, e dell’articolo 16 del Dl 155/2003, in relazione all’articolo 360 del codice di procedura civile, comma 1, n. 3. Nello specifico, lamentava che la Ctr non avesse ritenuto che, in caso d’acquisto di un fabbricato da parte di un soggetto coniugato, in regime di comunione legale dei beni, le dichiarazioni prescritte dalla legge riguardavano non solo il coniuge intervenuto nell’atto ma, anche, quello non intervenuto.

La Corte di cassazione, confermando quanto statuito dalla Commissione di secondo grado, ha riconosciuto l’agevolazione solo in favore del coniuge presente al momento del rogito.
In particolare, ha osservato che, per il godimento dell’agevolazione “prima casa”, “occorre che l’acquirente dichiari in seno all’atto di acquisto di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso ed abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare, e di non averne in precedenza, fruito, neppure pro quota, in riferimento all’intero territorio nazionale: la circostanza che l’acquisto dell’immobile si attui per effetto del regime di comunione legale non costituisce, in assenza di specifiche disposizioni in tal senso, eccezione alla regola anzidetta”.

La Corte ha altresì precisato che tale conclusione non contrasta con la precedente giurisprudenza di legittimità (Cassazione 14237/2000 e 15426/2009) citata dal ricorrente. I principi in essa espressi, infatti, sono da riferirsi a un diverso requisito della normativa di riferimento: residenza anagrafica nel comune ove è situato l’immobile.
Al riguardo, si ricorda che ai sensi dell’articolo 1, nota II-bis, della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 131/1986, per fruire dell’agevolazione è richiesto, tra l’altro, anche il requisito della residenza nel comune ove è situata l’abitazione da acquistare. Su tale aspetto, è emersa la problematica (diversa da quella oggetto della sentenza odierna) relativa alla spettanza o meno dell’agevolazione nell’ipotesi di acquisto di immobile a uso abitativo da parte di coniugi in regime di comunione legale, con particolare riferimento al caso in cui solo uno dei coniugi soddisfi il requisito della residenza anagrafica.

L’Amministrazione finanziaria, con la circolare 38/2005, ha precisato che, ai fini fiscali, l’acquisto di un immobile da parte di un coniuge che si trovi in regime di comunione legale “comporta l’applicazione nella misura del 50 per cento dell’agevolazione prima casa qualora l’altro coniuge non sia in possesso dei requisiti necessari per fruire del predetto regime di favore” e non l’esclusione dei benefici per intero.
Tale interpretazione è conforme al tenore letterale della norma agevolativa, che subordina la fruizione del beneficio in argomento alla presenza di condizioni personali del richiedente, quale, in particolare, la residenza anagrafica del singolo e non la residenza familiare.

La giurisprudenza di legittimità ha, invece, affermato con molteplici pronunce – anche più recenti rispetto a quelle citate dal notaio ricorrente – la fruibilità per intero del beneficio “prima casa” anche nell’ipotesi in cui uno dei coniugi non soddisfi il requisito della residenza anagrafica (cfr Cassazione 3931/2014, 16355/2013, 16356/2013, 15426/2009, 13085/2003 e 14237/2000).
Tuttavia la Corte, nel caso della sentenza in commento, ha osservato che i precedenti richiamati si riferiscono ad altra fattispecie, e, quindi, non costituiscono, per così dire, “precedente”.

Altra questione sollevata dal contribuente, su cui la suprema Corte si è espressa, afferisce al caso in cui un coniuge, in regime di comunione legale, acquisti un fabbricato con richiesta delle agevolazioni fiscali con atto pubblico, senza che nel medesimo intervenga la moglie e alla necessità che, per la dichiarazione integrativa di quest’ultima, sia necessario atto pubblico o sia, invece, sufficiente una scrittura privata autenticata.
Sul punto, si ricorda che il possesso delle condizioni soggettive, di cui alla nota II-bis dell’articolo 1 della tariffa, parte prima, del Tur, deve essere dichiarato, a pena di decadenza, nell’atto di compravendita, fatta salva la possibilità in capo al contribuente - riconosciuta dalla prassi amministrativa (risoluzione 110/2006) - di chiedere successivamente l’agevolazione con atto integrativo avente la stessa forma dell’atto precedente.

La Cassazione, confermando la posizione espressa dall’Amministrazione, ha affermato che è priva d’effetto la dichiarazione integrativa resa dal coniuge assente al momento della compravendita: “tale atto avrebbe dovuto essere redatto – e non lo era stato – con le stesse formalità giuridiche del precedente ed entro i termini di decadenza”.
Nunziata Masiello
Filomena Scarano

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