Corte Ue: sui servizi veterinari

si paga l’Iva ma a una condizione

Due le questioni esaminate ed entrambe incentrate sui principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento e sulla interpretazione di una direttiva europea
servizi veterinari
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento nonché degli articoli 273 e 287, punto 18, della direttiva Iva. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone uno studio veterinario all’amministrazione fiscale rumena, concernente il pagamento dell’IVA relative ad alcune cure veterinarie prestate tra il 2007 e il 2010. In seguito a un accertamento fiscale, nel maggio 2011 l’amministrazione tributaria ha intimato allo studio veterinario il pagamento dell’Iva, oltre a maggiorazioni e interessi, riguardante servizi medico-veterinari dal medesimo prestati tra il 2007 e il 2010. La questione è approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte UE alcune questioni.

L’analisi della prima questione pregiudiziale
La Corte fa presente che ai sensi dell’articolo 287, punto 18, della direttiva 2006/112, la Romania è autorizzata ad applicare una franchigia di Iva ai soggetti passivi il cui volume d’affari annuo sia al massimo uguale a EUR 35.000. D’altra parte, l’articolo 273, primo comma, della direttiva 2006/112 specifica che gli Stati membri possono stabilire altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’Iva e ad evitare l’evasione, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra gli Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera.
Gli Stati membri sono obbligati ad accertare le dichiarazioni fiscali dei soggetti passivi, la contabilità di questi ultimi e gli altri documenti utili nonché a calcolare e a riscuotere l’imposta dovuta.

La registrazione d’ufficio a fini Iva
Tuttavia, sulla base di tali considerazioni non si può dedurre che gli Stati membri siano tenuti a registrare d’ufficio ai fini Iva un soggetto passivo a partire dal momento della trasmissione di dichiarazioni fiscali diverse da quelle relative a detta imposta ma tali da permettere la constatazione del superamento della soglia di esenzione da quest’ultima.
Difatti, nonostante l’articolo 214, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 preveda che gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari all’identificazione dei soggetti passivi dell’IVA, resta inteso che, ai sensi dell’articolo 213, paragrafo 1, di tale direttiva, spetta all’interessato dichiarare l’inizio, la variazione e la cessazione della propria attività in qualità di soggetto passivo. Inoltre, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi.
Tutto ciò premesso, benchè la direttiva 2006/112 obblighi gli Stati membri ad adottare i provvedimenti necessari a identificare, eventualmente d’ufficio, un soggetto passivo dell’Iva, essa non li assoggetta all’obbligo di adottare provvedimenti legislativi e amministrativi volti a garantire che, nella gestione delle dichiarazioni fiscali diverse da quelle riguardanti l’Iva, sia al contempo verificato il rispetto degli obblighi del contribuente relativi a tale imposta.
Con riferimento alla prima questione sollevata, pertanto la Corte UE perviene alla conclusione che l’articolo 273, primo comma, della direttiva 2006/112 non impone agli Stati membri di identificare d’ufficio un soggetto passivo ai fini della riscossione dell’Iva basandosi unicamente su dichiarazioni fiscali, diverse da quelle riguardanti tale imposta, neanche laddove le stesse avrebbero permesso di constatare il superamento della soglia di esenzione dal pagamento della suddetta imposta da parte di tale soggetto passivo.

La seconda questione pregiudiziale
Con la seconda questione, il giudice ‘a quo’ chiede, in sostanza, se i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento ostino a che un’amministrazione tributaria nazionale decida che alcuni servizi medico veterinari siano soggetti a Iva. Nel caso di specie, da quanto riportato dal giudice ‘a quo’ risulta che il legislatore rumeno avrebbe soppresso il riferimento alle cure veterinarie dall’elenco delle operazioni esenti da Iva a partire dalla data di adesione della Romania all’Unione, il primo gennaio 2007, al fine di garantire la conformità del diritto nazionale al diritto comunitario.
Al riguardo, la Corte UE riconosce natura sufficientemente chiara e prevedibile alla disciplina nazionale per quanto riguarda l’applicazione dell’Iva a tali servizi nel corso del periodo interessato dai fatti oggetto della controversia, circostanza che tuttavia spetta al giudice ‘a quo’ verificare.
Del resto l’Iva ha applicazione generale e risultano collocati al di fuori del suo ambito d’applicazione solo le operazioni che ne sono espressamente esentate. Da ciò deriva che la mera soppressione di un’operazione dall’elenco di quelle che beneficiano di un’esenzione è sufficiente, dal punto di vista del principio di certezza del diritto, a far rientrare una tale operazione tra quelle soggette a imposta. Il principio di certezza del diritto impone anche, certamente, che la situazione fiscale del soggetto passivo non possa essere indefinitamente rimessa in discussione.
Tuttavia, la Corte UE ha già dichiarato che il principio di certezza del diritto non osta a una prassi delle autorità tributarie nazionali consistente nel revocare, entro il termine di decadenza, una decisione mediante la quale esse hanno riconosciuto al soggetto passivo un diritto alla detrazione dell’Iva, esigendo da quest’ultimo, per effetto di un nuovo controllo, tale imposta. La circostanza che l’amministrazione tributaria riqualifichi una data operazione come attività economica soggetta a Iva, entro il termine di prescrizione, non può quindi, di per sé, in assenza di altre circostanze, violare detto principio.
Di conseguenza, non si può validamente sostenere che, in circostanze come quelle considerate nel procedimento principale, il principio di certezza del diritto osta a che l’amministrazione tributaria proceda, entro il termine di prescrizione, a una rettifica dell’IVA avente ad oggetto servizi medico-veterinari già prestati, che avrebbero dovuto essere assoggettate a tale imposta.
Inoltre, occorre verificare se gli atti di un’autorità amministrativa abbiano ingenerato ragionevoli aspettative in capo ad un operatore economico prudente ed accorto e, se ciò è avvenuto, accertare la legittimità di tali aspettative. Tuttavia risulta che la prassi amministrativa delle autorità tributarie nazionali per quanto riguarda l’assoggettamento all’Iva dei medici veterinari non sembra tale da dimostrare che siffatte condizioni ricorrano nel caso di specie.
Tutto ciò premesso, la Corte UE perviene alla conclusione che alla seconda questione occorre rispondere nel senso che i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento non ostano a che un’amministrazione tributaria nazionale decida che servizi medico veterinari siano soggetti a Iva in circostanze come quelle oggetto del caso di specie, qualora tale decisione si fondi su norme chiare e la prassi di tale amministrazione non sia stata tale da generare, in capo a un operatore economico prudente e accorto, un ragionevole affidamento nell’inapplicabilità di tale imposta a servizi di questo tipo, circostanze queste che spetta al giudice del rinvio verificare.


Data della sentenza
9 luglio 2015
Numero causa
Causa C-144/14
Parti in causa

Cabinet Medical Veterinar Dr. Tomoiagă Andrei

contro

Direcția Generală Regională a Finanțelor Publice Cluj Napoca prin Administrația Județeană a Finanțelor Publice Maramureș,

Marcello Maiorino

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