18/10/2013
Autore: Fisco Oggi
Va richiesta dal contribuente
L’inapplicabilità delle sanzioni
va richiesta dal contribuente
È suo onere avanzare eventuali contestazioni e dimostrare la fondatezza delle ragioni per le quali, secondo lui, il comportamento che ha tenuto non è punibile
Con la sentenza 22524 del 2 ottobre, la Corte di cassazione ha affermato che “Il giudice tributario non può rilevare d’ufficio l’esistenza di una esimente in mancanza di una domanda del contribuente, il quale ha anche l’onere di dimostrare la ricorrenza, nella fattispecie concreta, dei relativi presupposti”.
Evoluzione del giudizio
La vicenda processuale trae origine dalla sentenza della Commissione tributaria regionale, che ha accolto l’appello principale dell’ufficio ritenendo legittima la cartella di pagamento emessa, ai sensi degli articoli 36-bis del Dpr 600/1973 e 54-bis del Dpr 633/1972, nei confronti della contribuente, per Iva e Irpeg, con esclusione, tuttavia, delle sanzioni previste dall’articolo 6 del Dlgs 472/1997.
Il giudice d’appello ha ritenuto che “la cartella oggetto d’impugnazione fosse adeguatamente motivata, contenendo tutti gli elementi indicati nell’art. 25 del d.p.r. n. 602 del 1973, e che non era stata provata la spedizione della dichiarazione dei redditi con conseguente impossibilità di portare in detrazione il credito relativo a quell’anno nell’anno successivo, in quanto l’art. 36 bis del d.p.r. n. 600 del 1973 collega le operazioni di conguaglio alla presentazione della dichiarazione dei redditi”.
L’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, denunciando la violazione dell’articolo 112 del cpc, per avere il giudice a quo disposto l’inapplicabilità delle sanzioni ai sensi dell’articolo 6 del 472/1997, pur in assenza di domanda di parte.
La contribuente ha resistito con controricorso e proposto anche ricorso incidentale articolato in quattro motivi e illustrato con memoria:
•violazione dell’articolo 36-bis del Dpr 600/1973 e dell’articolo 3 della legge 241/1990
•violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 della legge 212/2000 e dell’articolo 3 della legge 241/1990
•violazione dell’articolo 2697 e dell’articolo 36 bis del Dpr 600/1973
•violazione degli articoli 8 del Dpr 322/1998 e 19 del Dpr 633/1972.
Pronuncia della Cassazione
Con il primo motivo del ricorso principale, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione dell’articolo 112 del codice di procedura civile, per avere il giudice a quo disposto l’inapplicabilità delle sanzioni ai sensi dell’articolo 6 del Dlgs 472/1997 in assenza di domanda di parte.
A giudizio della Cassazione il motivo è fondato. “Quale che sia, infatti, la causa di non punibilità – non esplicitamente indicata in sentenza – che il giudice ha ritenuto nella specie sussistente, tra quelle previste nella norma citata, deve escludersi che il giudice tributario possa rilevare d’ufficio l’esistenza di una esimente in mancanza di una domanda del contribuente, il quale ha anche l’onere di dimostrare la ricorrenza, nella fattispecie concreta, dei relativi presupposti” (cfr Cassazione, sentenze 22890/2006, 22197/2004 e 14476/2003).
Già con la sentenza 4031/2012, la Corte di cassazione ha affermato che grava sul contribuente l’onere di dimostrare la ricorrenza di obiettive condizioni di incertezza sull’applicazione delle disposizioni tributarie che avrebbero giustificato la disapplicazione delle sanzioni: le affermazioni apodittiche da parte del contribuente circa la sussistenza di motivazioni che giustificherebbero la non applicabilità delle sanzioni, senza fornirne prova concreta, dispongono i giudici a ritenere la pretesa inconferente.
In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle Ct di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito delle norme alle quali la violazione si riferisce, potere conferito dall’articolo 8 del Dlgs 546/1992 e ribadito, con più generale portata, dall’articolo 6, comma 2, del Dlgs 472/1997 e, quindi, dall’articolo 10, comma 3, del Dlgs 212/2000, non può trovare l’impulso d’ufficio, ma deve trovare il suo legittimo presupposto nell’istanza di parte, caso che non si è verificato nel giudizio in esame.
Va escluso, dunque, che il giudice tributario di merito debba e possa decidere d’ufficio la non applicabilità della pena pecuniaria.
Salvatore Tiralongo
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